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COSA SONO I DISTURBI DELL’UMORE?

L’umore è definito come uno stato emozionale interno di un individuo che condiziona la qualità e l’intensità dei suoi vissuti, oltre che la sua attività cognitiva, volitiva e comportamentale. 

Esso può presentarsi alterato o nel senso di una deflessione del suo tono, come si verifica nelle condizioni depressive, o nel senso di una sua esaltazione, come invece si realizza nella mania o nell’ipomania.

La tonalità dell’umore, inoltre, presenta oscillazioni fisiologiche dipendenti dalle variazioni dei parametri psicobiologici, dagli stimoli provenienti dal mondo esterno o dai contenuto del mondo interno ovvero da un vario intrecciarsi di questi aspetti.

Cioè che caratterizza tutti i disturbi dell’umore è l’alterazione patologica del tono dell’umore che crea marcato disagio psicologico oltre a problematiche nel funzionamento sociale e relazionale. 

 

DEPRESSIONE

 

Le alterazioni del tono dell’umore sono principalmente:

  • la depressione caratterizzata da tristezza, calo della spinta vitale e ideazioni pessimistiche fino a pensieri autolesivi;
  • la mania caratterizzata da eccessiva euforia, logorrea, aumento della velocità del pensiero fino a sfociare in sintomi psicotici come deliri;
  • l’umore misto caratterizzato dalla presenza di sintomi depressivi e sintomi maniacali in concomitanza, detto anche “umore disforico “.

Oggi, al di là delle definizioni, la depressione è una malattia che tutti conoscono, ma che tuttavia rimane ancora circondata da uno stigma che rende difficile al paziente chiedere un aiuto agli specialisti. Una recente ricerca condotta in Italia ha mostrato come per il 75% dei 1000 intervistati sia una malattia che “va vissuta da soli”, mentre il 55% pensa che sia una “debolezza di carattere” (Indagine Doxa su 1000 intervistati, 2012).  Guarda questo video.

Secondo i dati di uno studio del 2019 realizzato dalla Commissione Salute del Dipartimento per le Pari Opportunità il 10% della popolazione italiana ha sofferto di depressione nel corso della vita, il 3% ne soffre tuttora, 26 milioni sono coloro che ne hanno avuto un’esperienza diretta o indiretta e, secondo una recente stima dell’OMS, sono aumentate del 18% tra il 2005 e il 2015. I Disturbi del Tono dell’Umore sono quindi oggi la prima causa di disabilità planetaria.

 

Nonostante la misura del fenomeno in costante espansione, chi ne soffre viene spesso discriminato perché considerato “diverso” più che malato o “debole” più che sofferente. In tal modo la persona risulta violata e offesa due volte: la prima dalla malattia, la seconda dalla non comprensione e non cura di essa. Accettare di non stare bene o che l’altro non stia bene è segno e motivo di grande forza e dignità umana, perché amore, fiducia e speranza nel miracolo della vita e nelle sue diverse manifestazioni.

Questi disturbi rappresentano un modello d’interazione fra componenti genetiche, biologiche, ed ambientali e proprio alla luce di questa interazione vengono oggi trattati tramite un approccio integrato fra farmacoterapia e psicoterapia, la cui maggior efficacia terapeutica e il minor rischio di ricadute sono ormai riconosciute e accettate dalla moderna letteratura scientifica. A volte, come nei casi dei disturbi minori, può essere d’aiuto esclusivamente una psicoterapia, altre volte invece, come nel caso della Depressione Maggiore, il trattamento farmacologico rappresenta la condizione necessaria per l’avvio di una psicoterapia successiva alla fase acuta del disturbo.

Più in particolare gli interventi psicologici per il trattamento della Depressione Maggiore e del Disturbo Bipolare di provata efficacia empirica sono la terapia comportamentale, la terapia cognitiva e la terapia interpersonale (Practice GuidelinesAmerican Psychiatric Association, 2010).

 

 

QUALI SONO I DISTURBI DEL TONO DELL’UMORE?

Il DSM 5, Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, è considerato il manuale di riferimento per la psichiatria a livello mondiale. 

Nel DSM 5 i disturbi dell’umore sono stati suddivisi in due categorie distinte:

 

– DISTURBI DEPRESSIVI

– DISTURBI BIPOLARI

 

Più che di depressione, dovremmo parlare di “depressioni”, in quanto nel DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) troviamo diverse sindromi all’interno del capitolo sui disturbi depressivi. 

 

È importante sottolineare come non tutte le modificazioni del tono dell’umore sono da considerarsi patologiche: a tutti infatti capita di provare, in alcuni momenti della nostra vita, sentimenti come tristezza, sconforto, pessimismo.

La tristezza è un’emozione ed entro certo livelli fa parte della vita di ciascuno di noi, ma solo se ha breve durata.

 

Si parla di Depressione invece quando il Disturbo dell’Umore è pervasivo e influenza significativamente il funzionamento sociale, lavorativo e relazionale del soggetto. Riconoscere un disturbo depressivo in fase iniziale è molto importante in quanto, più rapida è la diagnosi, migliore sarà la prognosi. Molto spesso invece le persone convivono con un disturbo depressivo per anni, arrivando a chiedere un aiuto ad uno specialista mediamente dopo due anni dall’esordio del disturbo.

QUALI SONO I DISTURBI DEPRESSIVI?

Quando parliamo di Depressione Maggiore parliamo di un Disturbo dell’Umore che richiede un intervento medico specialistico. La depressione maggiore, detta anche depressione endogena, è una depressione non legata a particolari eventi (lutti, perdite, situazioni stressanti). I sintomi principali della depressione maggiore riguardato il tono dell’umore, la spinta vitale, i pensieri e la capacità di concentrazione. 

 

DEPRESSIONE

 

Nello specifico la depressione maggiore si caratterizza per questi sintomi:

  • umore depresso per la maggior parte della giornata
  • marcato disinteresse o piacere verso le normali attività
  • significativa perdita di peso o alterazioni dell’appetito (aumento o diminuzione significativi)
  • insonnia o ipersonnia persistente
  • agitazione psicomotoria o rallentamento della motricità
  • sensazione di fatica o di perdita di energie
  • bassa autostima o eccessivi sensi di colpa
  • diminuzione delle capacità di attenzione concentrazione
  • ricorrenti pensieri di morte, ideazioni suicidarie o tentativi di suicidio

 

Secondo il DSM-5 per poter fare diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore è necessario che siano presenti almeno 5 di questi sintomi per una durata di almeno due settimane.

 

Il Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente è un disturbo che compare per la prima volta nell’ultima edizione del DSM. 

Questo disturbo è diagnosticabile in minori fino al diciottesimo anno di età e necessita, per poter essere diagnosticato, di un esordio compreso tra i 6 anni e i 10 anni di età.

Si caratterizza essenzialmente per una cronica, grave e persistente irritabilità, che si esprime principalmente attraverso due tipi di manifestazioni:

1) scoppi di collera verbali e comportamentali improvvisi contro cose e persone (danneggiamento di oggetti o proprietà altrui, aggressione fisica di coetanei, genitori, insegnanti ecc.), in risposta a una profonda frustrazione interna, con o senza cause scatenanti riconoscibili;

2) un umore irritabile e “arrabbiato”, mantenuto in modo costante e persistente tra uno scoppio di collera e l’altro.

 

Per poter emettere una diagnosi di Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente queste manifestazioni devono essere presenti per almeno un anno e gli scoppi di collera devono essere frequenti (almeno tre volte alla settimana), verificarsi in due o più contesti (casa, scuola, attività sportiva, luoghi pubblici ecc.) e non essere in linea con lo stadio evolutivo del bambino/ragazzo (ossia troppo precoci o tardive rispetto alle capacità di ragionamento e di sviluppo psico-emotivo). 

L’umore irritabile/arrabbiato tra gli scoppi di collera, invece, deve essere pressoché costantemente presente, a prescindere dalle circostanze e dagli eventi esterni.

 

 DEPRESSIONE

 

Il Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente spesso evolve, in adolescenza o nella prima età adulta, in un disturbo d’ansia o in una depressione maggiore. È abbastanza frequente riscontrare questo disturbo in bambini che presentano ADHD o disturbi d’ansia nell’età dello sviluppo.

Trascurare questo disturbo può ripercuotersi negativamente non soltanto sul benessere del bambino nell’immediato, ma anche su tutta la sua vita futura, ostacolando l’apprendimento (quindi, le possibilità di successo scolastico e professionale), uno sviluppo neuropsicologico equilibrato e la creazione di relazioni familiari, interpersonali e sociali soddisfacenti e produttive. In aggiunta, intraprendere un trattamento fin dall’esordio aumenta le probabilità di esito favorevole e permette di alleviare la famiglia da un carico psico-emotivo e materiale significativo, tutelando anche il benessere di eventuali fratelli/sorelle.

Se un bambino si mostra costantemente irritabile e collerico in modo ingiustificato, deve essere richiesto un consulto specialistico a un Neuropsichiatra o a uno Psicoterapeuta per inquadrare le manifestazioni in una diagnosi specifica, verificarne il livello di gravità e, se necessario, avviare trattamenti mirati di tipo psico-comportamentale e/o farmacologico.

 

Il Disturbo Depressivo Persistente, chiamato in passato “distimia” o “disturbo distimico” è un disturbo caratterizzato da un umore depresso cronico, che si manifesta quasi tutti i giorni, per almeno due anni. Possono verificarsi periodi in cui l’umore è “nella norma”, ma tendenzialmente non durano che qualche giorno o qualche settimana. 

In genere questo tipo di disturbo è difficile da individuare in quanto i sintomi principali di questo disturbo non sono così gravi come il Disturbo Depressivo Maggiore. 

I sintomi sono:

  • scarso o eccessivo appetito;
  • insonnia o ipersonnia;
  • scarsa energia e senso costante di fatica;
  • bassa autostima;
  • calo della concentrazione e difficoltà a prendere decisioni;
  • sensazione di essere “senza speranza”.

Secondo il DSM-5 per poter fare diagnosi di una Disturbo Depressivo Persistente è necessaria la presenza di almeno due sintomi sopra elencati per una durata di almeno due anni.

Alcuni pazienti non sono neanche consapevoli di essere depressi, anche se altri possono notarlo. Essi riconoscono sintomi come stanchezza, problemi nella concentrazione o nel prendere decisioni, scarsa autostima e sentimento di disperazione. Il sonno e l’appetito possono essere aumentati o ridotti.

Il Disturbo Depressivo Persistente ha spesso un esordio precoce e insidioso (ad esempio, durante l’infanzia, l’adolescenza, o la vita adulta) e, per definizione, un decorso cronico.
Un esordio precoce (cioè, prima dei 21 anni) è frequentemente associato alla presenza di Disturbi della Personalità  e Dipendenze Patologiche.

Trattamento: dagli studi scientifici emerge che attualmente le cure più efficaci per i Disturbi depressivi, tra cui appunto il Disturbo Depressivo Persistente, sono il trattamento farmacologico abbinato alla psicoterapia cognitivo-comportamentale. L’integrazione tra il trattamento farmacologico e la psicoterapia cognitivo-comportamentale viene valutato dal clinico specialista a seconda del quadro clinico generale e della sua gravità. Vi sono casi trattabili esclusivamente attraverso la psicoterapia, altri attraverso un approccio combinato. 

In particolare la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale mira a una maggior consapevolezza del sé, a ridurre comportamenti autodistruttivi, come negatività, disperazione e la mancanza di assertività, a migliorare la capacità di funzionare in situazioni sociali e di lavoro interpersonali, ad insegnare strategie di problem solving.

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Il Disturbo Disforico Premestruale, dopo anni di dibattito all’interno della comunità scientifica internazionale, è stato inserito nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). 

Questo disturbo è diagnosticato quando sono presenti, nella maggior parte delle fasi premestruali, almeno 5 dei seguenti sintomi:

  • marcata labilità emotiva (profonde oscillazioni del tono dell’umore);
  • irritabilità o rabbia o aumento dei conflitti interpersonali;
  • umore sensibilmente basso, sentimenti di disperazione e pensieri auto-critici;
  • ansia marcata, tensione o sensazione di avere i nervi a fior di pelle;
  • riduzione dell’interesse verso le normali attività;
  • difficoltà di concentrazione;
  • senso di fatica e calo dell’energia;
  • cambiamenti nell’appetito;
  • senso di perdita del controllo della propria vita;
  • sintomi fisici come indolenzimento del seno, dolori articolari o muscolari, senso di gonfiore e aumento di peso.

 

 

Si ritiene infine che tale disturbo sia fortemente influenzato dagli ormoni e che questi giochino un fattore importante nella genesi del disturbo. L’assunzione di terapia ormonale sostitutiva può infatti promuovere il ritorno del disturbo, evidenziando una volta di più lo stretto legame tra tono dell’umore ed equilibrio ormonale femminile.

Esistono alcuni fattori di rischio riconosciuti che possono rendere più probabile lo sviluppo di Disturbo Disforico Premestruale.

In particolare, si tratta di:

  • stress di qualunque natura (lavorativo, psicofisico, in ambito familiare ecc.);
  • storia di traumi relazionali/interpersonali;
  • cambiamenti stagionali;
  • fattori socioculturali relativi alla vita sessuale e ai rapporti uomo-donna;
  • ereditarietà (50% circa dei casi);
  • interruzione dell’assunzione di un anticoncezionale ormonale (caratterizzati da un’azione protettiva).

Trattamento: Un gran numero di trattamenti è stato sperimentato per il Disturbo Disforico Premestruale, tra cui trattamenti ormonali, trattamenti psicologici (dalla gestione dello stress alla psicoterapia formale, prevalentemente di orientamento cognitivo-comportamentale), trattamenti fisici (ad es. Yoga, Mindfulness, esercizio aerobico), integratori minerali (ad es. Calcio), integratori alimentari (ad es. Vitamine, acidi grassi omega-3), integratori a base di erbe (ad es. Ginkgo biloba, Crocus sativus) e, ultimo ma non meno importante, i farmaci antidepressivi (Hantsoo & Epperson, 2015). Altri interventi hanno incluso la restrizione del sale, la restrizione della caffeina, gli agenti diuretici e i farmaci antinfiammatori.

Una meta-analisi del 2019 ha analizzato sette studi, tre dei quali erano studi randomizzati e controllati, dimostrando un miglioramento nei punteggi di funzionamento e depressione per le pazienti con Disturbo Disforico Premestruale (Lustyk et al, 2019). Tali risultati suggeriscono che gli esercizi basati sulla consapevolezza e la Terapia Cognitivo-Comportamentale basata sull’accettazione possono essere utili per ridurre i sintomi (Hofmeister & Bodden, 2016).

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QUALI SONO I DISTURBI BIPOLARI?

La storia del Disturbo Bipolare ha inizio nella Grecia classica, dove già nel I secolo a.C. Areteo di Cappadocia descriveva la melancolia e la mania come due aspetti della stessa malattia.

Oggi i Disturbi Bipolari si trovano nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) tra i disturbi dell’umore, oltre ai disturbi depressivi. 

 

A differenza dei disturbi depressivi, che sono caratterizzati da una sola polarità, ossia il disturbo dell’umore si manifesta solamente con la variante depressiva, nei Disturbi Bipolari osserviamo la presenza di episodi maniacali o ipomaniacali alternati da episodi depressivi.

 

Nella mania o nell’ipomania (che è una variante “leggera” della mania) l’umore si definisce “espanso “, elevato, euforico. Un paziente che presenta un episodio maniacale può mostrare logorrea, accelerazione del contenuto del pensiero, ridotto bisogno di sonno, attivazione psicomotoria, fino a portare a spese eccessive e comportamenti disinibiti.

Disturbi Bipolari sono così suddivisi:

DISTURBO BIPOLARE I: 

caratterizzato da alternanza di episodi maniacali, ipomaniali e depressivi

 

DISTURBO BIPOLARE II: 

caratterizzato da alternanza di episodi ipomaniacali e depressivi

 

CICLOTIMIA: 

caratterizzata da alternanza di lievi episodi ipomaniacali e lievi episodi depressivi

 

DISTURBO BIPOLARE INDOTTO DA SOSTANZE: 

quando l’alterazione del tono dell’umore è attribuibile solamente a farmaci o sostante assunte dal paziente

 

Il Disturbo Bipolare esordisce quasi sempre durante l’adolescenza o, comunque, prima dei 25-30 anni. Nella maggioranza dei casi, il primo episodio è di tipo depressivo, mentre la prima fase maniacale o euforica, può comparire anche dopo diversi anni. Questa modalità di presentazione, unita al fatto che in genere il paziente in fase maniacale si sente bene e non ritiene necessario rivolgersi al medico, complica e ritarda notevolmente la diagnosi, orientandola almeno in un primo tempo verso un disturbo depressivo, anziché verso il Disturbo Bipolare.

L’Episodio Maniacale nel Disturbo Bipolare è caratterizzato da un umore persistentemente elevato, decisamente superiore alla norma, sia sul versante dell’espansività che dell’irritabilità. L’autostima del soggetto è ipertrofica, definita da aspirazioni eccessive e un forte senso di grandiosità. Vi è la presenza di una spiccata ed eccessiva loquacità, affiancata da un’agitazione psicomotoria con netta riduzione delle ore di sonno (3 sono sufficienti per sentirsi riposati), dovuta probabilmente in parte dalla successione continua dei pensieri come se si rincorressero uno dopo l’altro. L’attenzione viene catturata da ogni stimolo, anche quelli meno pertinenti, provocando una distraibilità continua, che conduce successivamente ad una diminuzione della capacità di giudizio e dell’autocritica. L’ episodio maniacale del Disturbo Bipolare è caratterizzata inoltre da un aumento delle attività lavorative, scolastiche e sociali, con un relativo aumento dell’interesse nell’attività sessuale, ed un eccessivo coinvolgimento in attività con il rischio di conseguenze potenzialmente dannose (shopping eccessivo, comportamento sessuale promiscuo, investimenti avventati, abuso di sostanze).

 

DEPRESSIONE

 

L’Episodio Depressivo nel Disturbo Bipolare è caratterizzato da umore depresso e/o perdita di interesse verso attività fino ad allora piacevoli, con uno stato emotivo prolungato di sconforto, sensazione di vuoto, pessimismo, scoraggiamento e disperazione. Vi è la presenza di una netta alterazione del comportamento alimentare caratterizzato da diminuzione o aumento dell’appetito con conseguenti variazioni ponderali. Le alterazioni del sonno sia sul versante dell’insonnia che dell’ipersonnia ed alterazioni del bioritmo caratterizzate da risvegli precoci sono una costante di questa fase, e insieme agli altri sintomi portano ad un rallentamento della capacità di pensare e forte indecisione. La persona è soggetta a mancanza di energia e faticabilità, visibile anche attraverso il rallentamento psicomotorio. Forti sentimenti di autosvalutazione e senso di colpa eccessivo (spesso inappropriati) affiancano il soggetto nella quotidianità. È inoltre caratterizzato da ricorrenti pensieri di morte, ideazione suicidaria con o senza pianificazione e tentativo di suicidio.

 

“WHAT IS A BIPOLAR DISORDER?” TED-ED

 

Trattamento: Nonostante il Disturbo Bipolare sia fra le malattie psichiatriche con una base organica ben identificata, e quindi trattabile farmacologicamente, è importante ricordare che un percorso di cura non sostituisce l’altro. È stato infatti riscontrato come, specie nella fase acuta della malattia, sia importante associare ad una cura farmacologica strettamente controllata, anche un percorso psicoterapico.

_ La terapia farmacologica deve essere accuratamente definita nel singolo paziente da psichiatri esperti nella gestione di questa patologia. Una terapia valida ed efficace del Disturbo Bipolare si deve dunque fondare sulla conoscenza competente della malattia, intesa come la comprensione della fenomenologia, della storia naturale, ovvero la natura ricorrente, il peggioramento e l’andamento stagionale, la conoscenza degli aspetti biologici, compresa la reazione ai farmaci nelle diverse fasi di mania e depressione, le teorie biologiche riguardanti l’eziologia e i meccanismi di azione dei farmaci utilizzati.

_ Insieme alla terapia farmacologica, esistono diverse strategie di supporto psicologico/psicoterapico che possono aiutare a controllare meglio il Disturbo Bipolare a lungo termine e migliorare la qualità di vita del paziente. Tutte prevedono sedute periodiche, individuali o di gruppo, nel corso delle quali il paziente analizza ed esterna le proprie sensazioni e le proprie difficoltà psicologiche, pratiche e relazionali con l’aiuto del medico e degli altri eventuali partecipanti alle sedute.

Oltre a permettere ai pazienti di conoscere meglio il disturbo di cui soffrono e ad accettarlo come una qualunque altra malattia organica, la psicoterapia offre la chiave per disinnescare alcuni circoli viziosi negativi di tipo comportamentale che tendono a far consolidare e peggiorare il disturbo. Numerosi studi hanno dimostrato, negli ultimi anni, l’efficacia della Terapia Cognitivo Comportamentale combinata con la farmacoterapia nel trattamento del disturbo bipolare (Beck e Newman, 2015).

L‘approccio cognitivo-comportamentale che insegna al paziente a sostituire atteggiamenti sfavorevoli con comportamenti e pensieri positivi.
In genere, il trattamento psicoterapico si protrae per diversi mesi o anni fintanto che il medico e il paziente non ritengono raggiunto l’obiettivo terapeutico fissato all’inizio del trattamento.

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