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COSA SONO I DISTURBI DELL’INFANZIA E ADOLESCENZA?

Durante gli anni della mia formazione presso l’Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli di Milano, ho avuto modo di occuparmi e approfondire le problematiche e i disturbi inerenti all’età dello sviluppo.

Questi compaiono per la prima volta durante l’infanzia o l’adolescenza, o comunque entro i 18 anni e possono esprimersi in varie forme, agendo sul comportamento, sulla gestione dei rapporti interpersonali o sullo sviluppo cognitivo. Si parla di disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza solo in quei casi che trascendono la comune irrequietezza giovanile, soprattutto se rapportati ai comportamenti dei coetanei e al contesto socio-culturale, interferendo in modo significativo sul normale svolgimento delle attività quotidiane.

È importante osservare il comportamento di bambini e adolescenti per capire se qualcosa non va: essi non sempre sono in grado di verbalizzare o parlare del proprio disagio, ma lo comunicano attraverso altri tipi di segnali.

Possono ad esempio iniziare a soffrire di paure immotivate, diventare aggressivi, isolarsi, dormire male, non riuscire a addormentarsi, avere incubi ricorrenti, mangiare poco o in maniera smodata, stare fisicamente male (cefalee, vomito, mal di pancia) senza che ci sia un reale riscontro di malattia organica. Tutti questi sono segnali a cui occorre prestare attenzione per cercare di comprendere cosa ci stanno comunicando attraverso tali disagi. 

 

 Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza

 

Prenderli in considerazione, parlarne, cercare aiuto sono i primi importantissimi passi per accogliere il malessere dei propri figli e trovare la giusta soluzione per loro e per l’intera famiglia.

La fase di consultazione si apre mediante un colloquio coi genitori, generalmente senza la presenza del bambino/adolescente, dove possono esprimere liberamente le proprie preoccupazioni e dubbi, richiedendo una valutazione, dei consigli e un aiuto per il proprio figlio. In alcuni casi la fase diagnostica richiede una valutazione più approfondita che si avvale di strumenti specifici in grado di orientare o confermare la natura del problema. In tal caso si procede con diversi incontri nei quali verrà coinvolto il bambino, in genere senza la presenza dei genitori. Questi incontri vengono solitamente vissuti dal bambino con tranquillità, i test somministrati infatti sono adatti all’infanzia e non rappresentano motivo di stress o disagio. La consultazione termina con una condivisione della problematica coi genitori e con una eventuale proposta di intervento terapeutico.

DOVE RICEVO – STUDIO BAMBINI 

 

Gli strumenti utilizzati nella psicoterapia con i bambini sono prevalentemente il gioco, i disegni, le narrazioni in seduta. Il bambino raramente arriva in seduta con un pensiero su un disagio da raccontare, ed è quindi compito del terapeuta individuare delle modalità di comunicazione adeguate all’età e alla patologia. 

 

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-DISEGNO

 

Il gioco e il disegno rappresentano gli elementi esterni privilegiati per la valutazione e la terapia, consentendo al bambino di parlare di sé in modo indiretto senza alimentare ulteriori ansie o disagio. Il gioco consente al bambino di proiettare e simbolizzare i propri vissuti e cercare di elaborare la propria sofferenza. Le fantasie del bambino prendono forma attraverso il gioco e consentono di indagare il suo mondo psichico e di elaborarne i contenuti attraverso il materiale simbolico che emerge. Allo stesso modo il disegno consente di raffigurare il mondo interno del bambino e di sopperire alla sua ancora deficitaria capacità di verbalizzare.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-GIOCO

 

Le tecniche di intervento nelle terapie con adolescenti possono essere di diverso tipo, anche in base a patologia ed età, ma la scelta è sempre in base alla consapevolezza che ogni individuo è unico e che ogni percorso terapeutico si evolve con ciascuno in modo specifico verso la crescita e l’integrazione.

Le modalità di intervento in psicoterapia infantile tengono conto non solo della relazione terapeutica con il bambino/ragazzo, ma anche del fatto che lo stesso è ancora inserito in un contesto dal quale è ancora fortemente dipendente, e che può avere delle ripercussioni sulla terapia. Pertanto, la possibilità di integrare la psicoterapia del bambino con un parallelo supporto ai genitori ed un’eventuale collaborazione con le strutture scolastiche favorisce una progressione terapeutica adeguata per rispondere ai bisogni specifici del bambino.

QUALI SONO I DISTURBI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA?

Di seguito verranno elencati alcuni tra i disturbi più comuni relativi all’infanzia e all’adolescenza in riferimento al DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).

All’interno della psicopatologia dello sviluppo, i disturbi d’ansia rappresentano la patologia psichiatrica più comune in età evolutiva (MeriKangas et al., 2010; Kessler, Avenevoli, Costello, 2012) e si stima che un terzo degli adolescenti soddisfa i criteri per un disturbo d’ansia all’età di 18 anni (MeriKangas et al., 2010). In letteratura il dibattito sul peso dei fattori ambientali e dei fattori genetici nel determinare lo sviluppo dei disturbi d’ansia è particolarmente acceso.

Secondo R. Rapee (2011) i fattori in grado di determinare l’insorgenza e il mantenimento dei disturbi d’ansia in età evolutiva sono tre:

  • fattori genetici;
  • temperamento del bambino;
  • fattori ambientali, i quali comprendono lo stile educativo genitoriale ed eventualmente l’ansia del genitore.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-ANSIA

 

Come nell’adulto anche l’ansia nei bambini è caratterizzata da pensieri specifici, come ad esempio pensieri che riguardano il timore che accadano “cose brutte” alle persone care, o pensieri circa la paura di non farcela. Anche nei bambini l’ansia può trovare espressione attraverso il corpo sotto forma di sintomi somatici quali cefalea, vomito, dolori addominali o agli arti, oppure si può osservare una riduzione della capacità di attenzione e la comparsa nel bambino di distrazione e svogliatezza.

Nei bambini e negli adolescenti l’ansia si manifesta principalmente con preoccupazioni relative agli impegni scolastici o alle prestazioni in generale, come gli impegni sportivi o gli impegni sociali.


Può essere presente una tendenza al perfezionismo che genera uno stato di tensione, che può causare o un impegno eccessivo o comportamenti di evitamento.
L’ansia, la preoccupazione, o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, scolastico, o di altre aree importanti.

 

Il bambino ansioso, infatti, vive costantemente un vago sentimento d’oppressione, “un peso”, associato a un atteggiamento di attesa di un avvenimento vissuto come spiacevole e imprevisto.

I criteri diagnostici dei Disturbi d’Ansia sono i medesimi sia in riferimento all’età evolutiva e adolescenza sia in riferimento all’età adulta.

 

Il DSM-5 identifica le seguenti categorie diagnostiche per i Disturbi d’Ansia:

Sui Disturbi dell’Umore in età evolutiva è in corso un vibrante dibattito che divide la comunità scientifica da decenni. In particolare, l’aspetto particolarmente critico riguarda la corretta diagnosi di questi disturbi considerando che in diversi casi possono manifestare sintomi sovrapponibili tra di loro.

Oltretutto, dal punto di vista clinico-descrittivo, le manifestazioni sintomatologiche nel bambino non sempre sono paragonabili a quelle dell’adulto, generalmente, infatti, i sintomi possono mutare con il variare del livello evolutivo.

Rispetto all’età adulta, inoltre, spesso non si è in presenza di quadri stabili, ma mutevoli, che si modificano in relazione a una serie di fattori (interni ed esterni al soggetto) e alla crescita stessa, che porta di per sé bambini e adolescenti a dover affrontare vissuti depressivi che si differenziano dal disturbo vero e proprio per frequenza e intensità.

La definizione, la diagnosi e il trattamento di tali disturbi in età evolutiva appaiono quindi ancora oggi piuttosto complessi. Le principali difficoltà di identificazione riguardano da un lato le caratteristiche che gli stati d’animo assumono nella specifica fascia d’età (nei bambini con vissuti depressivi, per esempio, possono prevalere disforia e irritabilità rispetto a tristezza e malinconia), dall’altro la modalità attraverso la quale essi vengono esperiti e descritti dal soggetto.

Mentre, infatti, la capacità di percepire alcuni stati d’animo è presente sin dalla primissima infanzia, con il passare del tempo si viene a modificare l’abilità con la quale i bambini trovano il modo di descrivere a sé stessi e agli altri tali vissuti.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-DEPRESSIONE

 

Inizialmente la difficoltà nella modulazione affettiva si esprimerà principalmente sul versante somatico e comportamentale e solo con il passare del tempo potrà svilupparsi una vera e propria capacità di autoriflessione sui propri stati mentali ed affettivi.

 

Questi fattori contribuiscono a rendere i Disturbi dell’Umore in età evolutiva quadri diagnostici spesso non riconosciuti e sottostimati, o confusi con altri tipi di disturbi.

Quanto premesso contribuisce a sottolineare l’importanza di identificare e riconoscere precocemente i primi segni e sintomi depressivi.

disturbi dell’umore, infatti, determinano in età evolutiva significative compromissioni influendo sullo sviluppo sociale, cognitivo ed emotivo a più livelli; possono, inoltre, in alcuni casi persistere fino all’età adulta e/o rappresentare i precursori di altre tipologie di disturbo.

Non avendo ancora, ad oggi, identificato cause specifiche ed univoche, in grado, da sole, di giustificare l’insorgenza dei sintomi, i disturbi dell’umore vengono considerati patologie ad eziologia multifattoriale. Nel percorso di diagnosi e pratica clinica ciò comporta la necessità di non trascurare nessun elemento dello sviluppo e nessun fattore capace di incidere su di esso.

Allo stesso modo il trattamento dovrà rispondere in modo globale alle aree dalle quali emerge una maggiore vulnerabilità, senza trascurare la possibilità di fornire sostegno ai contesti di vita del minore e creando una rete che supporti il soggetto e la sua famiglia.

Dal punto di vista sintomatologico i disturbi dell’umore presentano caratteristiche che possono variare significativamente in base all’età. Spesso i sintomi in infanzia e adolescenza possono essere difficili da osservare, perché confusi con altri sintomi o fisiologiche crisi evolutive e perché, nonostante possano essere particolarmente intensi, vengono espressi poco sul piano manifesto.

 

QUALI SONO I DISTURBI DELL’UMORE IN ETÀ EVOLUTIVA E COME RICONOSCERLI?

 

Il DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) utilizza la definizione di “Disturbi dell’Umore”, suddividendoli in due grandi categorie, definite sulla base degli episodi di alterazione dell’umore presentati dal soggetto.

Tali classificazioni diagnostiche non differenziano i quadri sintomatologici in base all’età, definiscono criteri univoci per i Disturbi dell’Umore sia per l’età evolutiva che per quella adulta.

 

1.DISTURBI DEPRESSIVI

Nella primissima infanzia i vissuti depressivi possono manifestarsi attraverso sentimenti di tristezza e apatia, mancanza di esplorazione, di curiosità e di iniziativa, ma anche attraverso stati d’animo quali irritabilità, facilità al pianto, disturbi psicomotori (passività o irrequietezza), del sonno e dell’alimentazione. Possono essere frequenti le lamentele somatiche e, in generale, è sul corpo che confluiscono la maggior parte dei sintomi. 

Il bambino può apparire spesso stanco, demotivato e mostrare difficoltà di concentrazione sui giochi o altre attività.

Lo stesso atteggiamento può essere riscontrato nei primi scambi diadici: il bambino può apparire spento, non rispondere al sorriso sociale, presentare uno scarso aggancio visivo e una ridotta mimica facciale.

In età prescolare tali sintomi possono modificarsi sensibilmente ed è possibile osservare mancanza di attrattiva e motivazione nelle attività ludiche, che possono apparire ripetitive e caratterizzate da temi di dolore e perdita, difficoltà nella separazione dalle figure di riferimento, dipendenza, incapacità ad esprimere o modulare l’aggressività. L’irritabilità può cominciare a modificarsi in direzione di una più chiara oppositività, alla quale possono aggiungersi frequenti crisi di pianto o collera. Le lamentele somatiche possono persistere, ma essere più chiaramente identificate dal bambino (mal di testa, mal di pancia che non trovano riscontro in una causa di origine organica). Da punto di vista psicomotorio i soggetti possono presentare livelli di attività particolarmente bassi o, al contrario, eccessivamente elevati.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-DEPRESSIONE-ADOLESCENTE

 

Con l’ingresso nella scuola elementare i disturbi dell’umore possono contribuire a creare difficoltà di apprendimento. Il rapporto con i pari può risultare faticoso e il bambino può essere spesso isolato o presentare difficoltà dal punto di vista comportamentale.
Mentre nella prima infanzia la sintomatologia legata al corpo può essere predominante, nell’adolescenza potranno cominciare a rendersi visibili le manifestazioni che si è abituati ad associare alla depressione adulta: sentimenti di inadeguatezza, vergogna, apatia, sensi di colpa, paura di non essere amati, perdita di speranza nel futuro, chiare alterazioni del tono dell’umore, che esulano dalle fisiologiche fluttuazioni legate all’età. Sul piano corporeo possono essere presenti disagi legati all’accettazione di sé e dei cambiamenti insiti nella pubertà.

 

2.DISTURBI BIPOLARI

Caratteristica del disturbo bipolare nei bambini e negli adolescenti è una repentina oscillazione del tono dell’umore, alla quale fanno seguito spesso reazioni imprevedibili, difficilmente modificabili attraverso tentativi di rassicurazione o attenuazione. L’ intensità delle reazioni legate a queste modificazioni dello stato affettivo di base è così repentina e intensa che rende particolarmente difficile, alle persone che vivono a stretto contatto con il soggetto, la comprensione delle stesse.

Tutto ciò può portare bambini e adolescenti che soffrono di un disturbo bipolare ad avere notevoli difficoltà di relazione sia con i familiari che con altre persone significative.

Anche l’immagine di sé, il rendimento scolastico, la vita sociale ed altre attività possono essere notevolmente inficiate, contribuendo a provocare nel soggetto un livello di sofferenza notevole.

 

Nella prima infanzia questi bambini possono mostrare un elevato livello di sensibilità, una bassa tolleranza alle frustrazioni e facile irritabilità. Dal punto di vista motorio possono apparire come iperattivi e difficilmente tranquillizzabili. È possibile osservare frequenti ansie, fobie e paure, che contribuiscono a renderli irrequieti e spaventati.

 

A causa della difficoltà di identificazione del disturbo in età evolutiva, la sintomatologia presentata viene difficilmente identificata e più spesso confusa come appartenente ad altri tipi di disturbi quali, per esempio, i disturbi del comportamento. Ciò anche a causa del fatto che nell’infanzia è più difficile osservare cicli d’umore ben differenziati.

In adolescenza, invece, la sintomatologia può apparire più chiara, i pattern comportamentali più definiti e possono essere presenti difficoltà alimentari e di comportamento.
Dal punto di vista affettivo i bambini e gli adolescenti con Disturbo Bipolare sono sottoposti ad un grande carico di sofferenza ed elevati livelli di stress. I cambiamenti del tono dell’umore, sfuggendo al loro controllo, contribuiscono a farli sentire impotenti ed incapaci di autoregolarsi. Questo può generare sentimenti di forte svalutazione e disistima e renderli protagonisti di episodi di disperazione frequenti e prolungati.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-RABBIA

 

Lo stesso carico di sofferenza coinvolge la famiglia che si trova a dover far fronte a reazioni che, spesso, vanno oltre le loro possibilità di gestione e comprensione. Le caratteristiche proprie del disturbo, infatti, possono generare nel nucleo familiare e sociale di appartenenza del bambino o dell’adolescente un circolo vizioso sulla negatività che contribuisce ad aumentare la sofferenza e la percezione di sfiducia nelle possibilità sia del minore che degli adulti che si prendono cura di lui.

La prevenzione e l’identificazione precoce e tempestiva delle prime difficoltà restano i punti chiave per evitare che il disagio si strutturi in un quadro psicopatologico più grave e definito.

L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività) rientra nella categoria dei Disturbi del Neuro-sviluppo, gruppo di condizioni che esordiscono nel periodo dello sviluppo e si caratterizzano per un deficit che causa una compromissione nel funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

 

La caratteristica fondamentale dell’ADHD è la persistente presenza di un quadro caratterizzato da disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con lo sviluppo e il funzionamento.

 

La disattenzione si evidenzia, sul piano comportamentale, con divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, disorganizzazione non imputabili ad atteggiamenti di sfida o da mancata comprensione. L’iperattività implica un’eccessiva attività motoria, un dimenarsi, la sensazione che il bambino sia “sotto pressione”, tamburellamenti, loquacità. Tali comportamenti si manifestano in momenti e situazioni in cui non sono appropriati.

L’impulsività si manifesta con azioni estremamente affrettate e che avvengono all’istante, spesso con elevato rischio per l’individuo. L’impulsività può esprimere un desiderio di immediata ricompensa, manifestandosi anche con comportamenti invadenti, come interrompere gli altri in modo eccessivo, o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze nel lungo termine.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-DISATTENZIONE

 

Di seguito la descrizione di un bambino cui è stato diagnosticato l’ADHD:

 

Fernando ha 8 anni e frequenta la classe terza della scuola primaria. Viene segnalato dalle insegnanti poiché crea molte difficoltà in classe: il bambino è sempre irrequieto e questo non permette lo svolgimento sereno della lezione. Fernando fatica a rimanere seduto, si alza e gira libero per la classe distraendo gli altri compagni. Quando finalmente riesce a sedersi, ha bisogno di giocherellare con le mani o muovere le gambe. Inoltre, ha bisogno di giocare con gli oggetti e lasciarli cadere sul pavimento. Fa fatica a rispettare i turni della conversazione e agisce spesso in modo avventato. Anche da piccolo era molto irrequieto, aveva scambiato il giorno per la notte. Faceva fatica ad addormentarsi e anche a svegliarsi. Di fronte alle frustrazioni reagiva con rabbia”.

 

La domanda che spesso si pongono i genitori quando emergono a scuola tali problematiche inerenti i propri figli è la seguente: come è possibile discriminare bambini con questi disturbi da bambini semplicemente “esuberanti” o molto vivaci?

 

Esistono, criteri diagnostici frutto di anni di lavoro di medici e psicologi che permettono di discernere ciò che è psicopatologico da ciò che invece risulta essere un temperamento più vivace.

Secondo i criteri del DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), per porre diagnosi di ADHD, vi dev’essere la presenza negli ultimi 6 mesi di almeno 6 sintomi di inattenzione o di iperattività/impulsività in bambini che hanno tra i 7 e i 12 anni:

I sintomi di INATTENZIONE sono così descritti:

  • spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività;
  • spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
  • spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
  • spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro;
  • spesso ha difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività;
  • spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto;
  • spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività;
  • spesso è facilmente distratto da stimoli estranei;
  • spesso è sbadato nelle attività quotidiane.

 

 

I sintomi di IPERATTIVITÀ sono invece descritti così:

  • spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia;
  • spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto;
  • spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui è fuori luogo;
  • spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo;
  • è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”;
  • spesso parla troppo;
  • spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate;
  • spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
  • spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.

 

Trattamento: prevede un intervento multimodale in grado di combinare interventi di tipo psico-educativo, psicoterapeutico e in alcuni casi farmacologico.

Affinché vi siano miglioramenti durevoli nel tempo è fondamentale affiancare al trattamento farmacologico, quando necessario, un percorso combinato di strategie cognitive e comportamentali che aiutino bambino, genitori e insegnanti a raggiungere una piena comprensione del problema e nella gestione dei comportamenti problematici presenti.

I programmi cognitivo-comportamentali di provata efficacia per l’ADHD prevedono vari livelli d’intervento tra loro interconnessi che coinvolgono la famiglia, l’ambito scolastico e il trattamento individuale del bambino.

L’autismo rappresenta una delle sindromi più complesse e, nelle forme più gravi, difficilmente gestibili che emergono nell’età evolutiva. 

 

I bambini e le bambine con autismo presentano importanti difficoltà nell’interazione reciproca, nella comunicazione e nelle attività di gioco. Il linguaggio verbale, quando presente, risulta spesso non adeguato al contesto, con scarso utilizzo dei gesti comunicativi. 

 

Le attività di gioco sono per lo più di tipo ripetitivo, con isolamento rispetto al gruppo dei coetanei. Altre caratteristiche dell’autismo sono: la difficoltà ad esternare i propri sentimenti e a leggere i sentimenti altrui, una diversa sensibilità agli stimoli ambientali (es. una ipo o iper sensibilità ai rumori e agli stimoli sensitivi tattili o gustativi), un deficit dell’immaginazione.

 

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-AUTISMO

 

Le manifestazioni dell’autismo sono molto varie, per questo si parla di spettro autistico. Esistono vari livelli di gravità, da forme più sfumate ad altre molto acute cui spesso si accompagna un quadro di ritardo mentale.

Nel DMS 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) l’autismo è stato inquadrato secondo un nuovo orientamento diagnostico (2013) che richiama l’attenzione sul concetto dimensionale dell’autismo, caratterizzato da comportamenti che si estendono senza soluzione di continuità tra normalità e malattia, ma che si differenziano perché la frequenza e l’intensità di quel sintomo non consentono di adattarsi al contesto, di sviluppare le risorse cognitive, di acquisire e di mantenere le relazioni sociali.

Il fatto che il disturbo venga considerato all’interno di uno “spettro” significa che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematico varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione. Questo comporta che all’interno delle dimensioni, o sintomi dell’autismo, si racchiudono persone con caratteristiche cliniche eterogenee nella compromissione sociale e nella presenza di comportamenti ripetitivi e di interessi ristretti.

 

I soggetti affetti da disturbi dello spettro dell’autismo condividerebbero la compromissione delle funzioni sociali e comunicative associate a interessi ristretti e comportamenti stereotipati. Tuttavia, la presenza di disabilità intellettiva (secondo ultime ricerche nel 30% dei soggetti) e la presenza di sintomi associati, tra cui instabilità motoria e attentiva, e di altri disturbi del comportamento, ipersensibilità ai suoni ed elevata soglia del dolore, contribuiscono all’ampia eterogeneità clinica.

 

Criteri diagnostici del DSM-V per l’Autismo, secondo il DSM-V il Disturbo dello Spettro Autistico deve soddisfare i criteri A, B, C e D:

A. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo e manifestato da tutti e tre i seguenti punti:

    1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva che va da un approccio sociale anormale e insuccesso nella normale conversazione (botta e risposta) attraverso una ridotta condivisione di interessi, emozioni, percezione mentale e reazione fino alla totale mancanza di iniziativa nell’interazione sociale.

2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale, da una scarsa integrazione della comunicazione verbale e non verbale, attraverso anormalità nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità.

3. Deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver); che vanno da difficoltà nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali attraverso difficoltà nella condivisione del gioco immaginativo e nel fare amicizie fino all’apparente assenza di interesse per le persone.

B. Pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi come manifestato da almeno due dei seguenti punti:

    1. Linguaggio, movimenti o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi, come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche.

2. Eccessiva fedeltà alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati o eccessiva riluttanza ai cambiamenti: rituali motori, insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo, domande incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti.

3. Interessi altamente ristretti e fissati, anormali in intensità o argomenti: forte attaccamento o interesse per oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti o circostanziati.

4. Iper o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo annusare o toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti roteanti.

C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacità)

D. L’insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano.

 

I tre livelli di gravità:

 

LIVELLO 3

Richiede supporto molto sostanziale:

– Comunicazione sociale: i gravi deficit nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, causano una grave difficoltà nel funzionamento; iniziativa molto limitata nell’interazione sociale e minima risposta all’iniziativa altrui.

– Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotti; è molto difficile distogliere il soggetto dal suo focus di interesse, e se ciò avviene egli ritorna rapidamente ad esso.

LIVELLO 2

Richiede supporto sostanziale:

– Comunicazione sociale:

Deficit marcati nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, l’impedimento sociale appare evidente anche quando è presente supporto; iniziativa limitata nell’interazione sociale e ridotta o anormale risposta all’iniziativa degli altri.

 

– Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi:

preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente da essere evidenti per l’osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti ed è difficile ridirigere l’attenzione.

 

LIVELLO 1

Richiede supporto:

– Comunicazione sociale:

senza supporto i deficit nella comunicazione sociale causano impedimenti che possono essere notati. Il soggetto ha difficoltà a iniziare le interazioni sociali e mostra chiari esempi di atipicità o insuccesso nella risposta alle iniziative altrui. Può sembrare che abbia un ridotto interesse nell’interazione sociale.

 

– Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi:

rituali e comportamenti ripetitivi causano un’interferenza significativa in uno o più contesti. Resiste ai tentativi da parte degli altri di interromperli.

 

Trattamento: Non è possibile individuare un intervento esclusivo e specifico per tutte le persone affette da autismo a causa della variabilità e complessità dei sintomi. Il percorso terapeutico deve evolversi e modificarsi in funzione dell’evoluzione e dei cambiamenti, in itinere, del disturbo. Quanto più complesso appare il quadro clinico più è necessario individuare obiettivi intermedi, ciascuno dei quali può prevedere più interventi per la sua realizzazione.

Il percorso terapeutico dovrebbe prevedere l’attivazione di una serie di interventi finalizzati ad arricchire l’interazione sociale, a incrementare la comunicazione e a facilitare l’ampliamento degli interessi rendendo più flessibili gli schemi di azione. Tutto questo con un percorso di parent training coinvolgendo attivamente i genitori e con il continuo adattamento dell’intero contesto ambientale, con l’obiettivo di aiutare le famiglie a interagire con i loro figli, promuovere lo sviluppo e l’incremento della soddisfazione dei genitori, del loro empowerment e benessere emotivo.

Nel trattamento dei bambini/adolescenti con diagnosi di autismo può emergere la necessità di ricorrere a una terapia farmacologica, che ha l’obiettivo di affrontare e ridurre a livello sintomatologico i diversi problemi che possono accompagnare questa condizione. Tuttavia, non esiste una validazione specifica di questi farmaci per il trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo.

Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-AUTISMO-

 

È da tenere, comunque, in considerazione che una terapia farmacologica, da sola, non è sufficiente a modificare la componente comportamentale caratteristica del disturbo. È importante prima di intraprendere un trattamento farmacologico verificare se specifici cambiamenti negli ambienti quotidiani (scuola, casa) o nelle abitudini (ritmi sonno/veglia, attività quotidiane, alimentazione), e soprattutto l’inserimento in protocolli di intervento comportamentali ed educativi, possano migliorare i sintomi indesiderati senza dovere ricorre all’uso di farmaci.

Psicoterapia:

Da un’attenta analisi delle linee guida (Practice Guidelines) stilate dall’American Psychiatric Association (APA) secondo l’Evidence Based Medicine, e dalle Linee Guida Autismo redatte dall’Istituto Superiore di Sanità (2011) emerge che la Terapia Cognitivo-Comportamentale rappresenta ad oggi l’intervento di prima scelta per molti disturbi psichiatrici.

Ad oggi gli interventi psicoeducativi per i disturbi dello spettro autistico, validati da evidenze empiriche e di letteratura, fanno riferimento a una cornice teorica di stampo cognitivo-comportamentale, finalizzati a modificare il comportamento generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale, capacità di vestirsi) e tentano di ridurre i comportamenti disfunzionali.

La Terapia Cognitivo-Comportamentale è indicata come raccomandazione anche per l’Autismo Lieve (Sindrome di Asperger e autismo ad alto funzionamento) per il trattamento della rabbia e la comorbidità con i disturbi d’ansia e dell’umore.

Un programma di intervento di Terapia Cognitivo-Comportamentale modificata per adattarsi efficacemente alle esigenze cognitive e sensoriali delle persone con autismo si focalizza su sia aspetti emotivi sia cognitivi. Le aree di valutazione e di intervento dello sviluppo emotivo sono la maturità dell’espressione emotiva, la complessità o sottigliezza del lessico emotivo e l’efficacia nella gestione delle emozioni.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali 5 (DSM 5, 2013) i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) sono caratterizzati dalla persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave per almeno 6 mesi tra lettura delle parole lenta o imprecisa e faticosa, difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto, difficoltà nello spelling, difficoltà con l’espressione scritta, difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo, difficoltà nel ragionamento matematico. Negli adulti, una difficoltà persistente si riferisce a difficoltà continuative nel leggere e nello scrivere o nelle abilità di calcolo.

Le abilità scolastiche sono al di sotto di quelle attese per età e causano interferenza con il rendimento scolastico o lavorativo.

 

 Disturbi-dell’Infanzia-e-Adolescenza-APPRENDIMENTO

 

Le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici e non solo influenzano le abilità scolastiche, ma possono anche ostacolare l’apprendimento di altre materie; questi problemi sono attribuiti alle difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche sottostanti.

La prevalenza dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) nell’ambito di lettura, scrittura e calcolo è pari al 5-15% tra i bambini in età scolare trasversalmente a linguaggi e culture differenti. La prevalenza negli adulti sembra essere del 4%.

 

Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) si distinguono in:

Dislessia:

compromissione della lettura, in particolare nell’accuratezza nella lettura delle parole, nella velocità o fluenza della lettura e comprensione del testo;

 

Disgrafia:

compromissione dell’espressione scritta, dell’accuratezza nello spelling e nella grammatica e nella punteggiatura;

 

Discalculia:

compromissione del calcolo: concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato o fluente e ragionamento matematico corretto.

 

Tali compromissioni possono manifestarsi con differenti gradi di gravità:

  • lieve
  • moderata
  • grave

 

Le difficoltà di apprendimento sono considerate “specifiche” in quanto non sono attribuibili a disabilità intellettive, a ritardo globale dello sviluppo a disturbi uditivi o visivi, o a disturbi neurologici o motori. Gli individui mostrano quindi livelli normali di funzionamento intellettivo (QI maggiore di circa 70).

 

DIAGNOSI:

La diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento viene di solito eseguita solo al termine del secondo anno di scuola primaria, anno in cui tale disordine diventa più evidente grazie all’esposizione della letto-scrittura. Solitamente sono le maestre, durante le attività scolastiche, ad avvertire le prime difficoltà e disagi nel bambino. È loro dovere quindi informare il genitore al più presto per fargli prendere contatto con lo specialista in grado di formulare una diagnosi, solitamente il Neuropsichiatra Infantile o un’équipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Logopedista ed eventualmente altri professionisti sanitari abilitati alla certificazione.

Le figure non sanitarie, quali pedagogisti, tutor degli apprendimenti, counselor, ecc., non possono fare diagnosi cliniche, pertanto nemmeno la certificazione: la diagnosi clinica in Italia è permessa solo a psicologi e medici.

Innanzitutto, un primo problema si può presentare quando ancora non c’è la diagnosi: in questo caso infatti sia il bambino che la famiglia e la scuola, si ritrovano nella confusione di un basso rendimento scolastico senza capirne il motivo. In questa prima fase gli insegnanti si interrogano sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni familiari, lamentano scarso impegno e disinteresse, talvolta problemi di comportamento in classe. Essi trovano anche difficoltà a spiegarsi perché il bambino che tra i pari sembra non avere particolari difficoltà, mostra poi rifiuto o problematiche quando gli si chiede di leggere e di scrivere (Stella, 2001).

I genitori sono confusi e spesso oscillano fra comportamenti severi e punitivi con inviti all’impegno e lunghi periodi in cui attendono sperando che il tempo possa portare ad un miglioramento della situazione. All’inizio in genere tendono a dare ragione all’insegnante e si associano all’idea che la difficoltà del loro bambino dipenda dallo scarso impegno o da un’insufficiente dose di esercizio.

In questa fase il bambino si sente incompreso sia in famiglia che a scuola e lui stesso comincia a dubitare delle proprie capacità. Questo può essere molto destabilizzante e provocare un abbassamento dell’autostima, disagio psicoaffettivo, un sentimento di inferiorità nonché senso di colpa, soprattutto se si sente giudicato pigro e svogliato (Gagliano 2018). Le interpretazioni e le azioni degli adulti portano, in questi casi, ad un aggravarsi della situazione.

Quando la diagnosi è stata effettuata, e se il disturbo non viene trattato adeguatamente, le manifestazioni psicologiche della sofferenza possono assumere varie forme, anche opposte tra loro: da un lato il bambino può presentare un comportamento ritirato, chiuso in sé stesso, di evitamento del confronto. Nella modalità di reazione opposta invece si possono presentare sentimenti di rabbia che portano a comportamenti disturbanti, opposizione alle insegnanti e aggressività col personale scolastico e con i pari, cosa che può innescare un circolo vizioso all’interno della classe.

Considerando che è proprio durante i primi anni di scuola che i bambini si trovano ad affrontare il conflitto tra una positiva immagine di sé e i sentimenti di inferiorità (Erickson, 1987), il modo in cui riusciranno a sviluppare sentimenti positivi che li porteranno a sentirsi efficaci avrà ripercussioni sulla loro vita.

Diventa estremamente importante quindi che la scuola e la famiglia vadano ad agire tenendo conto sia del disturbo e del miglioramento del profitto scolastico, ma anche degli aspetti emotivi del bambino. In questo modo si possono ottimizzare i risultati e prevenire che il bambino sviluppi una bassa autostima, disturbi ansioso depressivi e una sottostima delle sue capacità.

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è caratterizzato da bambini che esibiscono livelli di rabbia persistente ed evolutivamente inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori ed oppositività, che causano menomazioni nell’adattamento e nella funzionalità sociale.

Per fare diagnosi secondo il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) è necessario soddisfare i seguenti criteri:

A. Una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio che dura da almeno 6 mesi, durante i quali sono stati presenti 4 (o più) dei seguenti criteri:

  • spesso va in collera;
  • spesso litiga con gli adulti;
  • spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste o regole degli adulti;
  • spesso irrita deliberatamente le persone;
  • spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento;
  • è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri;
  • è spesso arrabbiato e rancoroso;
  • è spesso dispettoso e vendicativo.

B. L’anomalia del comportamento causa compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Psicotico o di un Disturbo dell’Umore.

D. Non sono soddisfatti i criteri per il Disturbo della Condotta, e, se il soggetto ha 18 anni o più, non risultano soddisfatti i criteri per il Disturbo Antisociale di Personalità.

 

Trattamento: L’intervento cognitivo-comportamentale per i bambini e gli adolescenti con problemi di condotta e di aggressività è basato su un modello socio-cognitivo scientificamente fondato, relativo alle modalità di elicitazione della rabbia nei bambini con tale disturbo ed ai processi attraverso i quali questa sfocia in risposte aggressive.

Il trattamento del disturbo oppositivo provocatorio deve coinvolgere sempre sia il bambino che la coppia genitoriale. Generalmente si predilige la combinazione di interventi che in letteratura hanno mostrato maggiore efficacia, ovvero quelli focalizzati sul fornire strategie educative più adeguate ai genitori, sul potenziare le competenze relazionali del bambino, le sue capacità di problem solving e di gestione della rabbia.

In particolare, il Cognitive problem-solving skills training (CPSST) è una modalità di trattamento del disturbo oppositivo provocatorio che si inserisce nell’ambito dell’approccio cognitivo-comportamentale. L’intervento si pone lo scopo di ridurre i comportamenti inappropriati e dirompenti attraverso l’insegnamento di nuovi metodi per far fronte a situazioni fortemente attivanti per il bambino. Il presupposto teorico alla base consiste nel ritenere che le persone con disturbi della condotta e aggressività presentino delle distorsioni nei processi cognitivi e per tale motivo vengono offerte un’ampia gamma di alternative cognitive che possano di conseguenza generare soluzioni alternative ai problemi interpersonali, esercitando i ragazzi a soffermarsi sulle conseguenze delle proprie azioni, identificando il significato dei propri e altrui gesti e la percezione di cosa possono provare gli altri.

Come per gli adulti tale disturbo è caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e ripetitivi, le ossessioni, associati ad alti livelli d’ansia e spesso accompagnati da prolungati comportamenti volti a neutralizzare il pensiero ossessivo e l’ansia, le compulsioni.

In età evolutiva, l’esordio si ha tra i 9 e 11 anni. Il decorso è cronico, con peggioramento della sintomatologia in seguito a eventi stressanti.

In età evolutiva le ossessioni più frequenti sono quelle che riguardano lo sporco, le ossessioni dubitative, di simmetria, sessuali e a contenuto aggressivo. Frequente anche la “scrupolosità”, che si manifesta attraverso il timore di fare o dire qualcosa di sbagliato.

 

Le compulsioni riguardano principalmente: controllo, lavaggio e pulizia, iterazione di parole o frasi, iterazione di movimenti specifici, ordine e simmetria.

Mentre gli adulti con DOC possono riconoscere che i loro pensieri e i loro comportamenti non sono razionali, questo diventa difficile per i bambini o gli adolescenti che non sempre hanno questa consapevolezza cognitiva.

Potrebbero passare molto tempo prima che i genitori si accorgano del disturbo perché i bambini spesso nascondono le loro ossessioni e i loro comportamenti compulsivi, sopprimendo i sintomi quando sono in mezzo ad altri coetanei, perché spinti da un forte bisogno di accettazione da parte dei pari.

Occorre chiarire che la maggior parte dei bambini attraversa fasi dello sviluppo caratterizzate dalla normale presenza di piccoli comportamenti compulsivi e rituali. Questi comportamenti sono comuni in bambini di età compresa tra due e otto anni, e sono funzionali al bisogno di controllare il loro ambiente e di gestire paure e ansie. Durante la scuola primaria ad esempio è molto diffuso raccogliere degli oggetti (collezionare figurine, fumetti, pupazzi e bambole). Anche la superstizione è comune nei bambini e assume la forma di “pensiero magico”, in altre parole la convinzione di poter controllare gli eventi attraverso il potere dei loro pensieri o dei loro comportamenti. Così numeri “fortunati” e rime aiutano a sviluppare un senso di controllo e di padronanza. In adolescenza invece i rituali tendono a diminuire lasciando spazio alle preoccupazioni ossessive legate al proprio corpo, a uno sport, alla musica o a un idolo.

Piccoli rituali aiutano quindi bambini e adolescenti nell’affrontare l’ansia legata alla separazione e a migliorare la socializzazione. Con la crescita la maggior parte di questi rituali scompare da sola.

Al contrario, i rituali del bambino con disturbo ossessivo-compulsivo persistono nel tempo, sono invalidanti, provocano sofferenza, sentimenti di vergogna e portano all’isolamento.

Spesso nel disturbo ossessivo-compulsivo i pensieri e i comportamenti dei bambini sono difficili da interpretare per i genitori, i coetanei e le insegnanti. Riconoscerne i sintomi può essere complicato anche perché alcuni comportamenti possono essere interpretati come oppositivi, provocatori o letti come preoccupazioni prive di significato. Il riconoscimento del disturbo è reso ancora più complicato dal tentativo, messo in atto da bambini e adolescenti, di nascondere i loro sintomi o dal fatto di non sapere riconoscere ed esprimere le loro ansie.

La manifestazione del disturbo può variare nel tempo e nelle circostanze. I bambini possono essere in grado di resistere alle ossessioni e alle compulsioni a scuola, ma non esserlo a casa.

A casa, i genitori di bambini con DOC possono osservare alcuni dei sintomi elencati di seguito.

  • Presenza di azioni che sono ripetute sempre nello stesso modo per evitare delle conseguenze temute (ad esempio lavarsi le mani in continuazione per paura di essersi contaminati, mantenere un ordine eccessivo per evitare conseguenze fatali);
  • Eccessivo tempo impiegato nello svolgimento dei compiti;
  • Quaderni strappati a causa di continue cancellature;
  • Presenza di rigidi rituali che devono essere ripetuti prima di andare a dormire o appena svegli;
  • Eccessivo tempo passato in bagno;
  • Eccessivo consumo di sapone o bagnoschiuma;
  • Eccessiva lentezza nel prepararsi prima di andare a scuola;
  • Eccessiva cura e attenzione a ordine a simmetria (come posizionare oggetti in camera o a tavola durante i pasti in un certo ordine predefinito e rigidamente impostato);
  • Rifiuto di svolgere alcune attività (come ad esempio tagliare il cibo con il coltello);
  • Mostrare sofferenza e rabbia eccessive quando gli altri interrompono un rito. I bambini possono spesso fare dei capricci se ad esempio un genitore insiste sul non fargli lavare le mani o interrompe una loro azione;
  • Difficoltà a spiegare un comportamento insolito. I bambini con DOC possono non essere in grado di spiegare le loro preoccupazioni, ma affermare di sentirsi costretti a ripetere alcuni comportamenti;
  • Tentativi di nascondere le compulsioni. Bambini e adolescenti spesso si vergognano dei loro rituali, per questo cercheranno di mantenerli segreti. Spesso si nascondono e passano molto tempo da soli nella loro cameretta;
  • Eccessive richieste di rassicurazione rivolte ai genitori (ad esempio chiedere conferma alla madre di averlo visto chiudere la porta di casa).

Il tasso di remissione spontanea di tale disturbo è minimo, pertanto è molto importante chiedere un aiuto professionale per evitare che il disturbo si cronicizzi.

Trattamento: le linee guida internazionali indicano nella terapia farmacologica e nella terapia cognitivo-comportamentale i trattamenti dimostrati al momento più efficaci e, in particolare, nella procedura di esposizione con prevenzione della risposta (ERP) il trattamento psicoterapico d’elezione per il disturbo ossessivo-compulsivo. La maggior parte degli studi mostra che, in media, circa il 80% dei pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo trae beneficio dalla terapia cognitivo-comportamentale.

I disturbi da tic comprendono secondo il nuovo orientamento diagnostico DSM-5 (2013) quattro categorie diagnostiche:

  • Disturbo di Tourette
  • Disturbo persistente da tic motori o vocali
  • Disturbo transitorio da tic
  • Disturbo da tic con altra specificazione o senza specificazione.

I tic sono movimenti o vocalizzazioni improvvisi, rapidi, ricorrenti, motori non ritmici. La diagnosi si basa sulla presenza di tic motori e/o vocali, sulla durata dei sintomi, sull’età di esordio e sull’assenza di una qualsiasi causa nota come altra condizione medica o di uso di sostanze. Un individuo può avere diversi sintomi nel corso del tempo, ma in qualunque momento il repertorio si ripresenta in modo caratteristico. I tic motori semplici sono di breve durata. Quelli motori complessi sono di più lunga durata.

L’esordio deve verificarsi prima dei 18 anni di età. I disturbi iniziano nel periodo della pubertà, con un’età media di esordio tra i 4 e i 6 anni e la sua prevalenza può raggiungere il 20% della popolazione in età scolare. I sintomi sono peggiorati dalla presenza di ansia, eccitazione e stanchezza e migliorano nei momenti di calma o quando gli individui sono impegnati in compiti scolastici o lavorativi o quando si rilassano a casa dopo a scuola o di sera.

Affinché si possa effettuate una diagnosi di Sindrome di Tourette (ST), deve essere accertata una storia di tic motori multipli e almeno un tic vocale, anche se questi tic possono non verificarsi simultaneamente.

La localizzazione dei Tic, il tipo, la frequenza e la gravità possono variare nel corso del tempo.

Trattamento: Nel caso di pazienti con Disturbo da Tic in età evolutiva è fondamentale il coinvolgimento dell’intero nucleo familiare con l’obiettivo di favorire la comprensione dei comportamenti del bambino, fornire strategie per la loro gestione e modificazione e porre attenzione sugli atteggiamenti dei componenti familiari in merito al disturbo ed al soggetto stesso. Risulta controproducente sgridare o spazientirsi in seguito alla manifestazione dei tic perché come in un vortice questo aumenta l’ansia e di conseguenza gli stessi tic. Indispensabile risulta anche nel contesto familiare il monitoraggio delle situazioni in cui i tic si manifestano così da poterle prevedere e quando possibile evitare.

I Disturbi da Tic vengono trattati principalmente utilizzando l’approccio cognitivo-comportamentale mediante la tecnica dell’esposizione e della prevenzione della risposta con lo scopo di estinguere i pensieri e i rituali che il soggetto mette in atto per contenere l’ansia e di modificare le credenze disfunzionali e le interpretazioni della persona sulle possibili conseguenze che possono essere scatenate dalle situazioni-problema (Verdellen C. et al., 2016).

IL MIO METODO

Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DA) sono strettamente intercorrelati tra loro dalla presenza di un anomalo rapporto con il cibo, da un eccesso di preoccupazione per la forma fisica, da un’alterata percezione dell’immagine corporea e da una stretta correlazione tra tutti questi fattori e i livelli di autostima, ma con caratteristiche cliniche e psicopatologiche differenti.

Il peso, tuttavia, non è un marcatore clinico imprescindibile di disturbi del comportamento alimentare, perché anche persone di peso corporeo normale possono essere affette dalla patologia.

Tali disturbi, se non trattati in tempi e con metodi adeguati, possono diventare una condizione permanente e compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico ecc.) e, nei casi gravi, portare alla morte. All’anoressia nervosa è collegata una mortalità 5-10 volte maggiore di quella di persone sane della stessa età e sesso.

 

Attualmente questi disturbi rappresentano un importante problema di salute pubblica, visto che per l’anoressia e per la bulimia, negli ultimi decenni, c’è stato un progressivo abbassamento dell’età di insorgenza, tanto che sono sempre più frequenti diagnosi prima del menarca, fino a casi di bambine di 8-9 anni. La patologia non riguarda più solo gli adolescenti, ma va a colpire anche bambini in età prepubere, con conseguenze molto più gravi sul corpo e sulla mente. Un esordio precoce può infatti comportare un rischio maggiore di danni permanenti secondari alla malnutrizione, soprattutto a carico dei tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale.

Nell’ultima edizione del DSM-5 i Disturbi della nutrizione e della alimentazione si presentano distinti in sei categorie diagnostiche principali:

_ Anoressia nervosa

_ Bulimia nervosa

_ Pica 

_ Disturbo alimentare evitante/restrittivo

_ Disturbo di alimentazione incontrollata

Oltre alle precedenti si individuano due categorie residue:

  • Disturbo della nutrizione o della alimentazione specificato: si tratta di casi sotto soglia dell’anoressia, della bulimia, del disturbo da alimentazione incontrollata oltre al disturbo con condotte di eliminazione e sindrome del mangiare di notte.
  • Disturbo della nutrizione o della alimentazione non specificato: ossia un disturbo dell’alimentazione in cui mancano delle informazioni per specificarne le caratteristiche.

Questi disturbi rappresentano una delle più frequenti cause di disabilità giovanile e a essi si associa un rischio elevato di mortalità. Sul piano epidemiologico la prevalenza life time dellanoressia nervosa e della bulimia nervosa si aggirano rispettivamente intorno allo 0,9% all’1,5%, nel genere femminile, mentre in quello maschile le percentuali sono 0,3 per l’anoressia e 0,5 per la bulimia.

Riguardo le cause, l’eziopatogenesi dei Disturbi della nutrizione e della alimentazione è di tipo multifattoriale: sono infatti il risultato dell’interazione di fattori predisponenti (genetici, psicologici, ambientali e socioculturali), fattori precipitanti (diete restrittive e difficoltà psicologiche personali) e fattori di mantenimento (sindrome da digiuno e il rinforzo positivo dall’ambiente).

L’inquadramento diagnostico dei disturbi della nutrizione e della alimentazione si attua a livello ambulatoriale e prevede che il paziente venga valutato a livello clinico, nutrizionale e psicologico.

Spesso l’osservazione clinica è preceduta da una storia di malattia molto lunga e questo complica notevolmente il processo di guarigione.

Trattamento: La riabilitazione nutrizionale dei disturbi dell’alimentazione, ad ogni livello di trattamento, sia di tipo ambulatoriale che per quelli intensivi di degenza parziale o totale, si deve svolgere all’interno di un approccio multidisciplinare integrato, che prevede l’associazione del trattamento psichiatrico/psicoterapeutico con quello nutrizionale, in grado di gestire oltre alle complicanze nutrizionali, la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e la psicopatologia generale eventualmente presenti.

L’intervento multidisciplinare è indicato, in particolare, quando alla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione coesiste una condizione di malnutrizione in difetto o in eccesso.

Durante il trattamento bisogna costantemente tenere conto del fatto che la malnutrizione e le sue complicanze, se presenti, contribuiscono a mantenere la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e ostacolano il trattamento psichiatrico/psicoterapico e, viceversa, se al recupero del peso e all’eliminazione della restrizione dietetica calorica non si associa un miglioramento della psicopatologia ci sono alte probabilità di ricaduta.

Nell’equipe multidisciplinare possono essere incluse in modo variabile, in base al livello di intensità di cura, le seguenti figure professionali: medici (psichiatri/neuropsichiatri infantili, medici con competenze nutrizionali, internisti, pediatri, endocrinologi), dietisti, psicologi, infermieri, educatori professionali, tecnici della riabilitazione psichiatrica e fisioterapisti.

La presenza di clinici con competenze multiple presenta il vantaggio di facilitare la gestione di pazienti complessi con gravi problemi medici e psichiatrici coesistenti con il disturbo dell’alimentazione. Inoltre, con questo approccio è possibile affrontare contemporaneamente e in modo appropriato la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, la restrizione dietetica calorica e cognitiva e le complicanze somatiche, psichiatriche e nutrizionali eventualmente presenti.

Le persone affette da disturbi dell’alimentazione debbono, infatti, ricevere interventi mirati sia agli aspetti psichiatrici e psicologici, sia a quelli nutrizionali, fisici e socio-ambientali. Detti interventi debbono inoltre essere declinati in base all’età, alla tipologia del disturbo e sulla base di una valutazione clinica e della presenza di altre patologie.

Psicoterapia:

È stato dimostrato che la Terapia Cognitivo Comportamentale è molto indicata per i Disturbi alimentari. Essa prevede l’uso di diari che consentono di monitorare l’assunzione di cibo, i comportamenti compensatori, un lavoro sulle emozioni e sui pensieri connessi al cibo, all’aspetto fisico, al peso. I pazienti imparano ad alimentarsi in modo corretto e a discutere i pensieri disfunzionali che producono emozioni spiacevoli e che perpetuano comportamenti di assunzione incontrollata di cibo, digiuno, vomito, esagerazione nell’esercizio fisico, ecc. Il trattamento di alcuni casi di bulimia nervosa può richiedere una terapia di 4-6 mesi, mentre per i casi di anoressia nervosa potrebbero essere necessari 1-2 anni. Per coloro che hanno un disturbo lieve, il ricorso ad un dietologo può essere sufficiente.

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